Le Miniere del Lazio
L’utilizzo dei minerali nel Lazio molto probabilmente inizia in età neolitica ove il rinvenimento di terre coloranti (ocre) e di manifestazioni vulcaniche con presenza di zolfo rivestono un interesse religioso e culturale.
L’attività estrattiva nel Lazio comincia molto presto, presumibilmente in periodo protostorico in prossimità di quei giacimenti a solfuri misti presenti nella nostra regione , monti della Tolfa e Ponte San Pietro.
Presumibilmente perchè le tracce di attività protostorica ove possibile rintracciarle sono state cancellate dalle attività più recenti e in assenza di tali testimonianze possiamo ipotizzare comunque che la ricchezza dei ripostigli del bronzo ritrovati in prossimità di tali luoghi fanno ritenere che ci sia un collegamento tra essi e questi giacimenti.
In particolar modo presso gli abitati del bronzo finale “protovillanoviani ” del Fosso la Nova che delimita il confine Tosco-Laziale, nell’alveo del torrente possiamo notare la presenza di scorie metallurgiche riferibili ad un attività di fusione consistente, sarebbe interessante sottoporre ad analisi tali materiali per risalire alle mineralizzazioni sfruttate e alle tecniche metallurgiche.NdR
Negli scavi dell’abitato del “Gran Carro” presso il lago di Bolsena il rinvenimento di Bronzo ricco di Arsenico uno degli elementi caratteristici dei filoni a solfuri misti della zona di Ponte San Pietro, fa presupporre una discreta attività estrattiva e il suo relativo commercio nelle zone limitrofe.
Il periodo di transizione tra il bronzo e l’età del ferro da la possibilità di sfruttare risorse fino ad allora inservibili e da la possibilità ad alcuni insediamenti di attestare il proprio dominio sul territorio, ne troviamo un esempio in Atina Potens nominata Alla fine del I sec. a.C. dal poeta romano Virgilio che ricorda, per primo, tra le cinque città del Lazio alleate di Turno contro Enea, Atina, definendola potens. I monti della Meta, che chiudono ad est la Valle di Comino di cui Atina è ancora oggi il fulcro topografico, presentano affioramenti di limonite su tutto l’arco da Picinisco, Settefrati, San Donato Val di Comino, Alvito, fino a Campoli Appennino.
Non è escluso che durante il periodo Etrusco-Romano e coevo vengano saltuariamente utilizzati i piccoli giacimenti laziali, anche se il commercio faceva pervenire metalli e materie prime da luoghi ben più ricchi.
A favore di questa tesi troviamo, in prossimità delle manifestazioni metallifere della nostra regione come ad esempio sui monti della Tolfa, presso i giacimenti limonitici del viterbese e in Valcanneto, testimonianze romane, etrusche e di altri popoli.
Oltre ai metalli non si esclude l’uso di altri minerali come lo Zolfo, di cui la nostra regione fu “ricca”, sempre in riferimento ad uno sfruttamento oggi non più sostenibile per costi o esaurimento. Presumibilmente il suo primo utilizzo fu di tipo dermatologico data la sua azione acaricida e quindi utile nel trattamento di alcune parassitosi. Oltre ai ritrovamenti di aree sacre in prossimità delle Solfatare laziali vi sono anche i ritrovamenti relativi alla lavorazione dello zolfo in età antica.NdR
Con la decadenza della civiltà Romana ci ritroviamo ad un cambiamento dovuto al ridimensionamento degli scambi commerciali dovuti anche all’instabilità politica, dove metalli che prima erano “facilmente” reperibili ora diventano più preziosi e i giacimenti che per la loro natura in età Romana avevano perso d’interesse ritornano utili ai fabbisogni della popolazione locale, infatti notiamo un cambiamento delle percentuali degli elementi nel Bronzo a testimonianza dello difficoltà di reperire alcuni metalli.
Sui monti della tolfa nascono insediamenti su quei giacimenti utili ad un economia locale e di commercio vedi il “Castrum Ferraria” con testimonianze di frequentazione romana ed etrusca.
In questo periodo anche giacimenti più piccoli destano interesse e ne ritroviamo testimonianza dalle lettere di Celestino V dove si cita la disputa tra Trisulti e gli alatrini per quanto riguarda lo sfruttamento di una miniera di ferro presso presso la selva D’Eici. Molto probabilmente lo stesso filone ad ossidi di ferro menzionato alcuni secoli più tardi dallo Spadoni.
Circa un secolo e mezzo più tardi e più precisamente nel 1485 abbiamo la “scoperta” dell’allume sui monti della Tolfa da parte di Giovanni Da Castro e di cui l’estrazione durerà fino alla seconda metà del secolo scorso.Proprio in virtù della fiorente attività estrattiva dell’allume, il fermento mosso dalla fiorente industria porta alla “riscoperta” e all’utilizzo di quei giacimenti di ferro e piombo collocati in questo territorio.
Il XVIII secolo vede da parte della reverenda camera apostolica il finanziamento di numerose attività minerarie tra cui la Miniera di Guarcino, Miniera di Settefrati, Miniera di Collepardo, e le attività connesse allo sfruttamento delle risorse dello stato pontificio.
Durante il periodo di occupazione francese, la reverenda camera apostolica lascia ” morire” quelli che sono gli interessi legati all’attività estrattiva dello Stato Pontificio, molto probabilmente per non alimentare l’economia degl’invasori.
Passato questo periodo e con il ritorno della stabilità politica si osserva una lenta ripresa di alcune attività estrattive. Per vedere un nuovo fermento dobbiamo aspettare le mire del Governo Borbonico che incarica il Capitano d’Artiglieria Giovanni Melluso per un sopralluogo alle vecchie miniere che avevano fornito il minerale allo stabilimento di Canneto solamente dopo fu dato incarico all’ing. Tenore di valutare i giacimenti e di cui oggi ne abbiamo testimonianza negli annali del regno delle due sicilie.
Dalla seconda metà del 1800 alla seconda metà del 1900 i vecchi giacimenti sono visti in modo differente con uno sfruttamento più razionale e di concezione moderna. Si osserva come nella nostra regione vengano razionalmente sfruttare le risorse del sottosuolo e ci sia una capillarità nelle ricerche, soprattutto in periodo autarchico per compensare tutta la richiesta interna, tra cui: numerose ricerche attive per il manganese; la volontà di sfruttamento dei piccoli giacimenti di Bauxite e lo sfruttamento quasi “fallimentare” della Leucite per l’estrazione dell’alluminio.
Arriviamo dunque ai giorni nostri dove solamente alcune miniere sono attive come quella di Fluorite di Castel Giuliano. Riguardo quest’ultimo arco di tempo, le uniche testimonianze fotografiche a disposizione sono di coloro che prima di me tramite precedenti pubblicazioni e chi nei propri “archivi famigliari” ha conservato una foto di quello che fu l’attività mineraria del Lazio.
L’intento di questo mio breve scritto è stato quello di presentare alcune memorie fotografiche della storia estrattiva del Lazio, consapevole che l’argomento trattato debba essere affrontato sotto un punto di vista multidisciplinare e che la cronistoria descritta è solo un piccolo riassunto di quello che fu.
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